Favole e.. Fiabe

Anche se purtroppo nel mondo delle favole il “lupo” è sempre stato visto e vissuto come personaggio cattivo, siamo a presentarvi una raccolta di favole/fiabe con i lupi come personaggi principali.

Cappuccetto Rosso – Grimm

favola e fiabe sui lupiC’era una volta una dolce bimbetta; solo a vederla le volevan tutti bene, e specialmente la nonna che non sapeva più che cosa regalarle. Una volta le regalò un cappuccetto di velluto rosso, e poiché‚ le donava tanto, ed ella non voleva portare altro, la chiamarono sempre Cappuccetto Rosso. Un giorno sua madre le disse: “Vieni, Cappuccetto Rosso, eccoti un pezzo di focaccia e una bottiglia di vino, portali alla nonna; è debole e malata e si ristorerà. Sii gentile, salutala per me, e va’ da brava senza uscire di strada, se no cadi, rompi la bottiglia e la nonna resta a mani vuote.”

“Sì, farò tutto per bene,” promise Cappuccetto Rosso alla mamma, e le diede la mano. Ma la nonna abitava fuori, nel bosco, a una mezz’ora dal villaggio. Quando Cappuccetto Rosso giunse nel bosco, incontrò il lupo, ma non sapeva che fosse una bestia tanto cattiva e non ebbe paura. “Buon giorno, Cappuccetto Rosso,” disse questo. “Grazie, lupo.” – “Dove vai così presto, Cappuccetto Rosso?” – “Dalla nonna.” – “Che cos’hai sotto il grembiule?” – “Vino e focaccia per la nonna debole e vecchia; ieri abbiamo cotto il pane, così la rinforzerà!” – “Dove abita la tua nonna, Cappuccetto Rosso?” – “A un buon quarto d’ora da qui, nel bosco, sotto le tre grosse querce; là c’è la sua casa, è sotto la macchia di noccioli, lo saprai già,” disse Cappuccetto Rosso. Il lupo pensò fra s’: Questa bimba tenerella è un buon boccone prelibato per te, devi far in modo di acchiapparla. Fece un pezzetto di strada con Cappuccetto Rosso, poi disse: “Guarda un po’ quanti bei fiori ci sono nel bosco, Cappuccetto Rosso; perché‚ non ti guardi attorno? Credo che tu non senta neppure come cantano dolcemente gli uccellini! Te ne stai tutta seria come se andassi a scuola, ed è così allegro nel bosco!”

Cappuccetto Rosso alzò gli occhi e quando vide i raggi del sole filtrare attraverso gli alberi, e tutto intorno pieno di bei fiori, pensò: Se porto alla nonna un mazzo di fiori, le farà piacere; è così presto che arrivo ancora in tempo. E corse nel bosco in cerca di fiori. E quando ne aveva colto uno, credeva che più in là ce ne fosse uno ancora più bello, correva lì e così si addentrava sempre più nel bosco. Il lupo invece andò dritto alla casa della nonna e bussò alla porta. “Chi è?” – “Cappuccetto Rosso, ti porto vino e focaccia; aprimi.” – “Non hai che da alzare il saliscendi,” gridò la nonna, “io sono troppo debole e non posso alzarmi.” Il lupo alzò il saliscendi, entrò, e senza dir motto andò dritto al letto della nonna e la inghiottì. Poi indossò i suoi vestiti e la cuffia, si coricò nel letto, e tirò le cortine.

Ma Cappuccetto Rosso aveva girato in cerca di fiori, e quando ne ebbe raccolti tanti che più non ne poteva portare, si ricordò della nonna e si mise in cammino per andare da lei. Quando giunse si meravigliò che la porta fosse spalancata, ed entrando nella stanza ebbe un’impressione così strana che pensò: “Oh, Dio mio, che paura oggi! e dire che di solito sto così volentieri con la nonna!” Allora si avvicinò al letto e scostò le cortine: la nonna era coricata con la cuffia abbassata sulla faccia, e aveva un aspetto strano. “Oh, nonna, che orecchie grandi!” – “Per sentirti meglio.” – “Oh, nonna, che occhi grossi!” – “Per vederti meglio.” – “Oh, nonna, che mani grandi!” – “Per afferrarti meglio.” – “Ma, nonna, che bocca spaventosa!” – “Per divorarti meglio!” E come ebbe detto queste parole, il lupo balzò dal letto e ingoiò la povera Cappuccetto Rosso.

Poi, con la pancia bella piena, si rimise a letto, s’addormentò e incominciò a russare sonoramente. Proprio allora passò lì davanti il cacciatore e pensò fra s’: “Come russa la vecchia! devi darle un’occhiata se ha bisogno di qualcosa.” Entrò nella stanza e avvicinandosi al letto vide il lupo che egli cercava da tempo. Stava per puntare lo schioppo quando gli venne in mente che forse il lupo aveva ingoiato la nonna e che poteva ancora salvarla. Così non sparò, ma prese un paio di forbici e aprì la pancia del lupo addormentato. Dopo due tagli vide brillare il cappuccetto rosso, e dopo altri due la bambina saltò fuori gridando: “Che paura ho avuto! Era così buio nella pancia del lupo!” Poi venne fuori anche la nonna ancora viva. E Cappuccetto Rosso andò prendere dei gran pietroni con cui riempirono il ventre del lupo; quando egli si svegliò fece per correr via, ma le pietre erano così pesanti che subito cadde a terra e morì.

Erano contenti tutti e tre: il cacciatore prese la pelle del lupo, la nonna mangiò la focaccia e bevve il vino che le aveva portato Cappuccetto Rosso; e Cappuccetto Rosso pensava fra s’: “Mai più correrai sola nel bosco, lontano dal sentiero, quando la mamma te lo ha proibito.”

Raccontano pure che una volta Cappuccetto Rosso portava di nuovo una focaccia alla vecchia nonna, e un altro lupo le aveva rivolto la parola, cercando di convincerla a deviare dal sentiero Ma Cappuccetto Rosso se ne guardò bene, andò dritta per la sua strada e disse alla nonna di aver visto il lupo che l’aveva salutata, guardandola però con occhi feroci: “Se non fossimo stati sulla pubblica via, mi avrebbe mangiata!” – “Vieni,” disse la nonna, “chiudiamo la porta perché‚ non entri.” Poco dopo il lupo bussò e disse: “Apri, nonna, sono Cappuccetto Rosso, ti porto la focaccia.” Ma quelle, zitte, non aprirono; allora il malvagio gironzolò un po’ intorno alla casa e alla fine saltò sul tetto per aspettare che Cappuccetto Rosso, a sera, prendesse la via del ritorno: voleva seguirla di soppiatto per mangiarsela al buio. Ma la nonna capì le sue intenzioni. Davanti alla casa c’era un grosso trogolo di pietra, ed ella disse alla bambina: “Prendi il secchio, Cappuccetto Rosso; ieri ho cotto le salsicce, porta nel trogolo l’acqua dove han bollito.” Cappuccetto Rosso portò tanta acqua, finché‚ il grosso trogolo fu ben pieno. Allora il profumo delle salsicce salì alle nari del lupo; egli si mise a fiutare e a sbirciare giù, e alla fine allungò tanto il collo che non pot‚ più trattenersi e incominciò a scivolare: scivolò dal tetto proprio nel grosso trogolo e affogò. Invece Cappuccetto Rosso tornò a casa tutta allegra e nessuno le fece del male.


I 3 porcellini
C’era una volta una vecchia scrofa che ebbe tre piccoli porcellini, ma non aveva più modo di tenerli con sé, così, li mandò a cercare fortuna per il mondo. Partì il primo porcellino ed incontrò un uomo con un fascio di paglia, e gli disse: “Per favore, buon uomo, mi dai la tua paglia per costruirmi una casa?” L’uomo acconsentì, e il porcellino fece su una casetta di paglia.

Arrivò un giorno il lupo, il quale bussò alla porta e disse: “Porcellino, porcellino, fammi entrare.” Il porcellino rispose: “No, no, neanche per sogno.” Il lupo allora rispose: “Ah si? allora soffierò via la tua casa.” Così soffiò e sbuffò così forte che la casetta di paglia fu spazzata via, e il lupaccio si mangiò il povero porcellino.

Il secondo porcellino incontrò per la via un uomo che portava una fascina di legno e gli disse: “Per favore, buon uomo, mi dai il tuo legname per costruirmi una casetta?” L’uomo acconsentì, e il porcellino costruì una casa di legno. Venne poi il lupo e disse: “Porcellino, porcellino, fammi entrare.” Il secondo porcellino rispose: “No, no, neanche per sogno.” Il lupo allora rispose: “Ah si? allora soffierò via la tua casa.” Così soffiò e sbuffò così forte che alla fine anche la casetta di legno fu spazzata via, e il lupaccio si mangiò il secondo porcellino.

Veniamo al terzo porcellino, il quale incontrò sulla via un uomo con un carico di mattoni: allora gli disse: “Per favore, buon uomo, mi dai i tuoi mattoni? Voglio costruirmi una casa.” L’uomo acconsentì, e il porcellino poté costruirsi una bella casa di mattoni. Anche da lui venne il lupo, e disse: “Porcellino, porcellino, fammi entrare.” “No, no, neanche per sogno.” “Allora soffierò e ti butterò giù la casa.” Il lupo soffiò, sbuffò, e risoffiò fino a perdere il fiato, ma per quanto soffiasse, la casetta non crollava. Quando vide che soffiare non serviva a niente, disse: “Porcellino, lo sai che io conosco un bel campo di rape?” “Dove?” rispose il porcellino. “E’ il campo della signora Smith; se domani mattina sarai pronto, vengo a prenderti e ci andiamo insieme e a prendere un pò di rape per farci un bel pranzetto.” “Benissimo,” rispose il porcellino, “sarò pronto; a che ora passerai?” “Alle sei.”

Il furbo porcellino si alzò alle cinque, andò al campo prima che arrivasse il lupo, raccolse le rape e tornò a casa: quando il lupo venne a prenderlo, gli chiese: “Porcellino, sei pronto?” E il porcellino rispose: “Oh si, si! Sono già andato e tornato, e ho già fatto una bella scorta di rape per il pranzo.” Il lupo si arrabbiò moltissimo, ma pensò che prima o poi sarebbe riuscito a fregare il furbo porcellino e disse: “Sai, porcellino, che conosco anche un bell’albero di mele?” “Ah si? dove?” “Giù al giardino del signor Brown,” rispose il lupo, “e se stavolta non mi imbrogli, domani mattina alle cinque vengo a prenderti e ci andiamo insieme, a raccogliere un pò di mele.”

Il mattino dopo il alle quattro, il porcellino saltò su dal letto e andò a raccogliere le mele, sperando di fare in tempo a tornare prima che arrivasse il lupo; non era ancora sceso dall’albero, che in quel mentre vide arrivare il lupo e ovviamente si spaventò moltissimo. Quando il lupo arrivò ai piedi dell’albero, disse: “Porcellino, sei venuto prima di me! Sono belle le mele?” “Si, si, bellissime!” rispose il porcellino, “te ne lancio giù una.” E la mandò così lontano, che mentre il lupo era andato a raccoglierla, ebbe il tempo di scendere di corsa dall’albero e scappò a casa.

Il giorno dopo venne di nuovo il lupo, e disse: “Porcellino, c’è una fiera a Shanklin, oggi pomeriggio, ci andiamo?” “Oh, si, si, io ci vado. Tu a che ora sarai pronto?” “Alle tre.” rispose il lupo. Così il porcellino andò alla fiera prima di lui, come le altre volte, e comprò un barile. Si avviò verso casa, quando incontrò il lupo. Allora non sapeva cosa fare, e così, si nascose dentro il barile e lo vece rotolare via veloce con se stesso dentro. Il lupo si spaventò talmente che scappò via senza andare alla fiera. Andò a casa del porcellino e gli raccontò che aveva rischiato di essere travolto da un oggetto rotondo che rotolava veloce per la strada. Allora il porcellino disse: “Ah, allora ti ho spaventato. Oggi sono stato alla fiera prima di te, e ho comprato un barile da latte, e quando ti ho visto, sono saltato dentro e sono rotolato giù per la collina per fuggirti!” Allora il lupo si inferocì con il porcellino, e dichiarò che l’avrebbe divorato. Decise così di calarsi giù dal fumaiolo, e quando il porcellino se ne accorse, mise a bollire un calderone d’acqua; quando l’acqua fu bella bollente, tolse il coperchio, e il lupo ci cadde dentro; allora il porcellino rimise prontamente il coperchio sulla pentola, bollì il lupo, se lo mangiò per cena, e da quel giorno visse a lungo felice e contento.


Il lupo e il cane

Un lupo magro e sfinito incontra un cane ben pasciuto, con il pelo folto e lucido. Si fermano, si salutano e il lupo domanda:
– Come mai tu sei così grasso? Io sono molto più forte di te, eppure, guardami: sto morendo di fame e non mi reggo sulle zampe.

– Anche tu, amico mio, puoi ingrassare, se vieni con il mio padrone. C’è solo da far la guardia di notte perché non entrino in casa i ladri.

– Bene, ci sto. Sono stanco di prendere acqua e neve e di affannarmi in cerca di cibo.

Mentre camminano, il lupo si accorge che il cane ha un segno intorno al collo.

– Che cos’è questo, amico? – gli domanda.

– Sai, di solito mi legano.
– E, dimmi: se vuoi puoi andartene?
– Eh, no – risponde il cane.
– Allora, cane, goditi tu i bei pasti. Io preferisco morire di fame piuttosto che rinunciare alla mia libertà.


Il lupo sazio e la pecora

Quello era davvero un gran giorno per un lupo rinomato in tutto il contado per la sua insaziabile fame. Infatti, senza neppure alzare un dito egli era riuscito a procurarsi ottime prede trovate casualmente a terra perché colpite da qualche cacciatore e si era preparato un pranzo degno di Re! Il lupo, dopo avere abbondantemente mangiato, si inoltrò nella foresta per fare due passi. Fu così che incontrò una mansueta pecorella la quale, terrorizzata dal temibile animale notoriamente suo nemico, non riuscì neppure a muoversi, paralizzata dallo spavento. Il lupo, più per istinto che per altre ragioni, afferrò la preda tenendola stretta, stretta. Ma solo dopo averla catturata si rese conto di essere talmente sazio da non avere più alcun appetito. Occorreva trovare una valida giustificazione per poter liberare quella pecora senza fare brutta figura.
” Ho deciso” Disse quindi il lupo “di lasciarti andare a condizione che tu sappia espormi tre desideri con intelligenza.
La pecorella sconcertata, dopo aver pensato un istante rispose: “Bè, anzitutto avrei voluto non averti mai incontrato. Seconda cosa, se proprio ciò doveva avvenire, avrei voluto trovarti cieco. Ma visto che nessuno di questi due desideri è stato esaudito, adesso vorrei che tu e tutta la tua razza siate maledetti e facciate una brutta fine perché mi avete reso la vita impossibile e avete mangiato centinaia di mie compagne che non vi avevano fatto alcun male!”
Inaspettatamente il lupo, invece di adirarsi come prevedibile, dichiarò:
“Apprezzo la tua sincerità. Hai avuto molto coraggio a dirmi ciò che realmente pensavi per questo ti lascerò libera!” Così dicendo liberò la pecorella e, con un cenno di saluto, la invitò ad allontanarsi.


I cani si riconciliano coi lupi – Fedro
Dissero i lupi ai cani: – Perché voi, che siete nostri simili in tutto, non andate d’accordo con noi come fratelli? Noi, infatti, non abbiamo nulla di diverso da voi, tranne il carattere. Noi viviamo in completa libertà; voi siete sottomessi agli uomini come servi, sopportate le loro percosse, portate il collare, simbolo della vostra schiavitù, e tenete in custodia le loro pecore. Per di più, quando essi mangiano, a voi non riservano che i rimasugli degli ossi. E’ ora di cambiare; abbiate fiducia in noi. Consegnateci tutte le pecore, noi le spartiremo in comune con voi, per mangiarcele a sazietà. I cani, purtroppo, prestarono orecchio a questi suggerimenti. Ed i lupi, penetrati nell’ovile, sbranarono loro per primi, e poi tutte le pecore.


Grimm – Il lupo e i sette caprettini

Una capra aveva sette caprettini, che amava d’amore materno e proteggeva con cura dal lupo. Un giorno dovette uscire per andare a procurare del cibo; li chiamò tutti e disse: -Cari piccini, devo uscire a prendere il cibo; guardatevi dal lupo e non lasciatelo entrare. Fate attenzione perché‚ spesso si traveste, ma potete riconoscerlo dalla voce rauca e dalle zampe nere. Se riesce a entrare vi divora tutti quanti in un boccone-. Se n’era andata da poco quando il lupo si presentò alla porta gridando con la sua voce rauca: -Cari piccini, apritemi, sono la vostra mamma e vi ho portato delle belle cose-. Ma i sette caprettini dissero: -La nostra mamma ha una vocina dolce, mentre la tua è rauca! Tu sei il lupo, non sei la nostra mamma, e noi non ti apriamo!-. Allora il lupo ricorse a un’astuzia: andò da un bottegaio e si comprò un grosso pezzo di creta, lo mangiò e si addolcì così la voce. Poi tornò alla porta dei sette caprettini e gridò con voce delicata: -Cari piccini, lasciatemi entrare, sono la vostra mamma e ho portato qualcosa per ciascuno di voi-. Ma aveva appoggiato la sua zampa alla finestra; i sette caprettini la videro e dissero: -La nostra mamma non ha le zampe nere come te, tu sei il lupo e noi non ti apriamo-. Il lupo corse allora da un fornaio e disse: -Fornaio, mettimi un po’ di pasta sul piede-; quindi andò dal mugnaio e disse: -Mugnaio, spargimi sulla zampa un po’ di farina bianca-. Ma il mugnaio non voleva. -Se non lo fai- disse il lupo -ti mangio.- Allora il mugnaio per paura lo assecondò. Il lupo andò di nuovo alla porta dei sette caprettini e disse: -Cari piccini, sono la vostra mamma, fatemi entrare; ciascuno i di voi riceverà qualcosa in regalo-. Ma i sette caprettini vollero prima vedere la zampa e siccome videro che era bianca come la neve, e udirono il lupo parlare con voce tanto dolce, credettero che si trattasse della loro mamma, aprirono la porta e il lupo entrò. Ma come si spaventarono quando videro di chi si trattava! Cercarono allora di nascondersi come meglio poterono: il primo sotto il tavolo, il secondo nel letto, il terzo nella stufa, il quarto in cucina, il quinto nell’armadio, il sesto sotto una grossa ciotola, il settimo nell’orologio a pendolo. Ma il lupo li trovò tutti e se li mangiò, meno il più piccolo nascosto nel pendolo; questo rimase in vita. Poi, quando si fu cavata la voglia, il lupo se ne andò. Poco dopo la madre rientrò a casa. La porta era spalancata, tavola, sedie e panche erano rovesciate, le ciotole in cucina erano in pezzi, coperta e cuscini strappati dal letto: che misero spettacolo! Il lupo era stato là e aveva mangiato i suoi cari piccini. -Ah, i miei sette caprettini sono morti!- gridò la capra tutta afflitta. Ma in quel mentre il più piccolo balzò fuori dal pendolo e disse: -Cara mamma, uno vive ancora!- e le raccontò come fosse avvenuta la disgrazia. Intanto il lupo, dopo essersela spassata, satollo e stanco, si era sdraiato al sole su di un prato verde ed era caduto in un sonno profondo. Ma la vecchia capra era saggia e furba e pensava e ripensava: “Non posso proprio salvare i miei piccini?”. Alla fine disse al caprettino più piccolo, tutta contenta: -Prendi filo, ago e forbici e seguimi-. I due uscirono e trovarono il lupo che russava, disteso sul prato. -Ecco il lupo cattivo- disse la madre, e lo osservò da tutte le parti. “Ah, fossero ancora vivi i miei sei piccini, dopo che se li è mangiati per merenda!” -Dammi un po’ le forbici- disse al piccolo. Tagliò allora la pancia del lupo e i sei caprettini, che per via della fretta e dell’avidità il lupo aveva ingoiato interi, saltarono fuori illesi. Come abbracciavano la loro mamma, e com’erano felici che essa li avesse liberati da quella buia prigione! Ma essa ordinò loro di andare a prendere delle pietre grosse e pesanti con le quali riempirono la pancia del lupo, e dopo la ricucirono. Poi corsero tutti via e si nascosero dietro a un cespuglio. Quando il lupo si svegliò, sentì un gran peso nella pancia e disse: -La mia pancia romba e rimbomba! La mia pancia romba e rimbomba! Che cos’è? Ho solo mangiato sei caprettini-. Egli pensò: “una bella bevuta mi farà bene”, e si mise in cammino per cercare una fontana. Ma come vi si sporse sopra, il peso delle pietre lo tirò giù, cadde in acqua e annegò. A questa vista i sette capretti vennero di corsa e ballarono di gioia intorno alla fontana.


Fedro – Il lupo e l’agnello

Un lupo e un agnello spinti dalla sete erano andati allo stesso ruscello; il lupo stava più in alto e l’agnello di gran lunga più in basso. Allora il prepotente spinto dalla gola malvagia portò un motivo di litigio. “Perché” disse “mi hai reso torbida l’acqua che bevo?”. L’agnello come risposta disse temendo: “Come posso io, di grazia, fare quello di cui ti lamenti, o lupo? L’acqua scorre da te alla mia bocca”. Quello respinto dalla forza della verità: “Sei mesi fa tu hai parlato male di me”. L’agnello rispose: “Ma io non era nato.”. “Tuo padre, per Ercole, ha parlato male di me”. E così (il lupo) lo sbrana dopo averlo afferrato con una ingiusta morte. Questa favola è stata scritta a causa di quegli uomini i quali opprimono gli innocenti per mezzo di falsi pretesti.


Fedro – Il lupo e la gru

Chi pretende dai malvagi il pagamento di un servizio, sbaglia due volte: anzitutto perché aiuta chi non lo merita, poi perché non può più cavarsela senza danno. Il lupo, nell’inghiottire, si era conficcato un osso in gola; non potendone più dal dolore, si mise ad adescare, col miraggio di una ricompensa, gli animali, a uno a uno, perché gli cavassero quel tormento. Alla fine la gru si lasciò persuadere a forza di giuramenti e, affidando alla gola del lupo l’intera lunghezza del suo collo, gli fece la pericolosa operazione. Alla pretesa del premio pattuito il lupo disse: “Sei proprio un’ingrata; sei riuscita a portare in salvo dalla mia bocca la testa e vieni ancora a chiedere l’onorario”.


Fedro – Il lupo e la volpe al tribunale della scimmia

Chi si è fatto conoscere una volta per un inganno vergognoso, anche se dice la verità, perde il credito. Lo dimostra questa breve favola di Esopo. Il lupo accusava la volpe di furto; lei affermava di non essere nemmeno in prossimità della colpa. Allora la scimmia si sedette in mezzo a loro per fare da giudice. Dopo che ciascuno ebbe perorato la sua causa, la scimmia, a quanto si dice, pronunziò questa sentenza: “Tu non hai perso, a parer mio, quello per cui sporgi querela; tu hai rubato, credo, quello che sai negare così bene”.


La favola del lupo che doveva mangiare l’asinelli, ma…

Lupo cattivo???
Facciamo un passo indietro…
Il rapporto tra uomo e lupo sono stati sempre contradittori.
Nel corso della storia i lupi sono sempre stati odiati, mentre oggi sono in egual misura protetti e ammirati; nella versione dei canidomestici sono addirittura adorati e coccolati, anche se a volte non è sempre così, ma andiamo con ordine.
Anche se la figura mitologica è radicata in tutte le culture, è sempre stato perseguitato, e il suo sterminio è diventato quasi totale tra il XIX secolo e la metà del XX secolo, la specie era quasi scomparsa da Europa e America.
Grazie ai movimenti per la su protezione sono riusciti ad evitare l’estinzione e a promuovere la ripopolazione di vaste aree.
Nel passato abbiamo associato alla figura del lupo, a un’immagine negativa, legata al male, basta ricordare alla favola di Cappucetto Rosso che da oltre 600 anni i bambini si sentono raccontare la storia le Lupo Cattivo che mangia la Nonna, quindi non cè da meravigliarsi se la sua reputazione sia così difficile da modificare…
Ma esiste un’altra storia recentissima dei nostri giorni e si è svolta in Albania.
E’ la storia di un Asinello che viveva in condizioni pietose, in un piccolo recinto sporco, con pentole sporche piene di acqua putrida per dissetarlo e cibo buttato nel fango… un giorno il suo carceriere gli diede come compagno un Lupo, il quale sarebbe dovuto diventare il suo carnefice, e nutrirsi con la sua carne, infatti il povero Asinello dagli occhi grandi e luminosi doveva essere il pasto del Povero Lupo Cattivo.
Questo era il pensiero di chi aveva cura di loro…ma….
Il Lupo Cattivo divenne amico del piccolo Asinello dai grandi occhi luminosi, e insieme divisero il piccolo recinto, sporco, dalle pentole piene d’acqua putrida, e il cibo buttato nel fango, si fecero compagnia, si confortaroro a vicenda, fino al giorno in cui qualcuno non venne in loro aiuto, e quel giorno dopo tante sofferenze, il Lupo fu lasciato libero di ritornare nei suoi boschi e l’Asinello fu ospitato da una famiglia che gli diede un grande recinto dove poter correre, bere in vasche dall’acqua pulita e fresca e mangiare cibo fresco…
Anche qui gli animali sono vitteme dell’uomo, anche qui mi vergogno tanto di far parte della specie “umana”, tanto intelligente quanto ignorante e crudele…
Se possedessimo un quarto del cuore e della bontà degli animali, sicuramente saremmo migliori… ma mi rendo conto che noi non siamo buoni con noi stessi figuriamoci con loro…


Il Lupo e il Cane (La Fontaine)

Un Lupo già ridotto al lumicino
grazie ai cani che stavan sempre all’erta,
andando un dì per una via deserta
incontrava un magnifico mastino,
tanto grasso, tondo e bello,
che pensò di dargli morte
provocandolo in duello.
Ma vedendolo un po’ forte,
pensò invece con ragione
di pigliarlo colle buone.
Comincia in prima a rallegrarsi tanto
di vedere il buon pro’ che gli fa il pane.

– E chi vi toglie, – rispondeva il Cane, –
di fare, se vi accomoda, altrettanto?
Quella vita che voi fate
dentro ai boschi è vita infame
sempre in guerra e sempre in scrupolo
di dover morir di fame:
vita stracciata e senza conclusione
che non può mai contar sopra il boccone.
Venite dietro a me, mio buon compare,
che imparerete l’arte di star bene.
Vi prometto pochissimo da fare;
star di guardia, guardar chi va, chi viene,
abbaiare ai pitocchi ed alla luna
e sbasoffiare poi certi bocconi
di carne e d’ossa, d’anitre e capponi,
senza contar la broda
in pagamento del menar la coda -.

Udendo questo, della sua fortuna
il Lupo si rallegra fino al pianto.
Ma camminando dell’amico accanto
gli venne visto spelacchiato e frollo
del buon mastino il collo.

– Che roba è questa? – È nulla. – È nulla un corno!
– Suvvia non darti pena,
forse il segno sarà della catena
alla quale mi legano di giorno.

– Ti legano? – esclamò cangiando tono. –
Né correre tu puoi dove ti piace?
– Che importa? – Importa a me, colla tua pace;
fossero d’oro, i piatti tuoi ti dono,
non è una vita, no, che m’innamora -.
E presa la rincorsa, corre ancora.


Il lupo e la Cicogna (La Fontaine)

I Lupi sono bestie che, si sa,
mangian sempre con grande avidità.
Un giorno uno di questi in compagnia,
per ghiottornia mangiando a più non posso,
gli cadde in gola un osso.

Con quell’affar confitto in mezzo all’ugola
che strozza la parola,
sarìa morto, se a trarglielo di gola,
una Cicogna pia
col becco non venìa.

Con colpo veramente da cerusico
il Lupo liberò.
Quindi la buona grazia
per sé gli dimandò.

– Tu scherzi, – disse il Lupo, – anzi ringrazia
i morti tuoi parenti,
se il collo t’ho lasciato uscir dai denti.
Vattene, o scellerata,
impara ad esser grata, e prega i santi
di non tornar agli occhi miei davanti -.


Il lupo, la Madre e il Bambino (La Fontaine)

Questo Lupo mi chiama alla memoria
un altro Lupo a cui toccò di peggio,
del qual dirò la genuina istoria:

Stava messer il Lupo alla vedetta
d’un casolar assai fuori di mano,
se mai la sorte, mentre ch’egli aspetta,
non avesse a mandargli sottomano
o un vitello di latte o una capretta,
o un pollo d’India, o qualche altro provento,
di cui ne passa sempre un reggimento.

Un dì che si annoiava, ode ad un tratto
una donna gridare a un suo Bambino:
– Aspetta, piangi ancor, se fai da matto
quel tal Lupo che mangia chiameremo -.
Messer il Lupo, precorrendo il fatto,
ringrazia il ciel del ghiotto bocconcino.
Ma tosto ella soggiunse: – Zitto, caro,
non pianger più, tesor, dormi, mio bello;
se venire oserà Lupo mannaro,
lo piglieremo e poi l’ammazzeremo -.

– Che cosa è questa? – allor Mangiamontoni
disse, – O che siamo Lupi da zimbello?
Se mi casca il marmocchio negli unghioni,
mentre che al bosco va per le nocciole,
vedrà se Lupi siam da donnicciuole! –
In questa un can, che andava vagabondo,
fiuta il Lupo, dà il segno, escono in venti,
con forche, spiedi, par la fin del mondo!
– O che vieni a far qui? – gridano in venti.
– Mi ha chiamato la donna e per lo scopo…
– Ah brutto muso! e avrò per i tuoi denti
partorito il mio Bimbo tenerello? –
Dàlli dàlli… e l’ammazzan come un topo.

Un villan gli troncò la testa e un piede
che comperò il signore del castello.
Qui confitta al portone ancor si vede
una vecchia iscrizion sopra un cartello:
O luv, fidève nen d’maman ch’a cria
a sua masnà, ma scapè subit via.


Il lupo e la Volpe (Grimm)
Il lupo aveva con s‚ la volpe; e questa era obbligata a fare ciò che egli voleva, poiché‚ era la più debole; sicché‚ le sarebbe tanto piaciuto liberarsi di quel padrone. Un giorno attraversarono il bosco insieme, e il lupo disse: -Pelorosso, procurami qualcosa da mangiare, o mangio te-. La volpe rispose: -Conosco una fattoria dove ci sono due agnellini; se vuoi possiamo prenderne uno-. Il lupo fu d’accordo: andarono, la volpe rubò l’agnellino, lo portò al lupo e se ne andò. Il lupo lo divorò, ma non era ancora sazio; voleva anche l’altro e andò a prenderselo; ma agì in modo così goffo che la madre dell’agnellino se ne accorse e si mise a gridare e a belare a più non posso, finché‚ i contadini non accorsero. Trovarono il lupo e lo conciarono da far pietà, sicché‚ egli arrivò dalla volpe zoppicando e urlando. -Me l’hai combinata bella!- disse. -Volevo prendere l’altro agnello quando i contadini mi hanno acciuffato e conciato per le feste.- La volpe rispose: -E tu perché‚ sei così ingordo?-. Il giorno dopo se ne tornarono per i campi e il lupo disse: -Pelorosso, procurami qualcosa da mangiare, o mangio te-. La volpe rispose: -Conosco una fattoria dove questa sera la padrona cucina le frittelle; andiamo a prenderne-. Andarono, e la volpe strisciò attorno alla casa; poi sbirciò e fiutò finché‚ riuscì a trovare il piatto con le frittelle; ne prese sei e le portò al lupo. -Ecco qua da mangiare- disse, e se ne andò per la sua strada. Il lupo divorò le frittelle e disse: -Fanno solo aumentare la voglia-. Tornò alla casa e tirò giù tutto il piatto, rompendolo. Ci fu un gran baccano; la padrona uscì fuori e quando vide il lupo chiamò soccorso: vennero e lo picchiarono tanto che egli arrivò nel bosco, dalla volpe, zoppo da due gambe e urlando disse: -Che razza di guaio mi hai combinato? I contadini mi hanno acchiappato e conciato per le feste-. Ma la volpe rispose: -E tu perché‚ sei così ingordo?-. Il terzo giorno, mentre erano fuori insieme, il lupo avanzava a fatica, ma tornò a dire: -Pelorosso, procurami qualcosa da mangiare, o mangio te-. La volpe rispose: -Conosco un uomo che ha macellato, e tiene la carne salata in cantina; andiamo a prenderla-. Il lupo disse: -Ma io voglio venire subito con te, perché‚ tu possa aiutarmi se non posso scappare-. -Per me!- disse la volpe, e lo condusse per vicoli e sentieri, finché‚ arrivarono alla cantina. Là vi era carne in abbondanza, e il lupo ci si buttò sopra, pensando: “Prima che abbia finito, c’è tempo!”. Anche la volpe mangiò di gusto, ma si guardava attorno, e correva sovente al buco attraverso cui erano entrati, provando se il suo corpo era ancora abbastanza sottile per passarci. Il lupo disse: -Cara volpe, perché‚ mai continui a correre qua e là e salti dentro e fuori?-. -Devo ben vedere se viene qualcuno!- rispose quella astutamente. -Bada solo di non mangiar troppo!- Il lupo rispose: -Non me ne vado prima che la botte sia vuota-. Ma in quella arrivò il contadino, che aveva sentito i salti della volpe. Scorgendolo, Pelorosso saltò d’un balzo fuori dal buco; anche il lupo volle seguirla, ma aveva mangiato tanto che non riuscì più a passare e rimase in trappola. Allora il contadino venne con un randello e lo ammazzò. La volpe invece corse nel bosco ed era felice di essersi liberata di quel vecchio ingordo.


Ildegardo lupo codardo (Valeria Celli)

Il solstizio d’inverno: la notte più lunga, quando il sole sembra soggiacere alle tenebre che lente, come ombre invincibili, salgono prendendo sempre più luce al giorno. La foresta era scura nel pallido chiarore lunare. Gli alberi mandavano lunghe ombre spettrali, mentre i fiocchi di neve cadevano lenti. All’improvviso nel silenzio l’ululato del vecchio maestro s’innalzò verso la pallida luce che a stento illuminava il sottobosco ghiacciato. Cauti i lupi uscirono dalle tane e si incamminarono per giungere ai piedi della roccia da cui era partito il richiamo. Iniziarono a correre veloci; solo l’impronta sulla neve tradiva il loro passaggio, i loro occhi gialli, impenetrabili, fendevano il buio. I lupi vivevano in coppia e si riunivano a branco solo per cacciare, o, come quella sera, per imparare. Si sedettero intorno alla roccia. Le code delle coppie si intrecciarono. Uno dei giovani prese posto vicino alla compagna prescelta e la sfiorò appena accarezzandola con la coda. Si guardarono intorno e si contarono: c’erano tutti, nessuno era rimasto vittima di un cacciatore o di una tagliola. Il branco ululò. La foresta tacque e tutti gli animali si rifugiarono nel fondo della tana tremando. I cervi drizzarono le orecchie e fiutarono l’aria, pronti a fuggire. Dove sarebbero andati a caccia i lupi quella lunga notte? Quale animale sarebbe stato braccato, inseguito, divorato dopo una corsa lunga e sfibrante. La foresta era tutta un fremito, un fremito di paura, di angosciosa attesa…. ma il branco non si era riunito per cacciare. La sera prima i lupi avevano mangiato a sazietà e tutti noi ormai sappiamo che gli animali non uccidono solo per il gusto di farlo, come fa l’uomo, ma per sopravvivere e che questo porta equilibrio nell’ambiente.
Quella sera i lupi si erano riuniti solo per imparare. Parlava Bradir un grande lupo saggio dal pelo ormai quasi completamente grigio. La sua corsa era diventata un po’ lenta, i suoi salti meno alti, ma era un saggio e il branco per questo lo rispettava. Raccontò ai lupi, che attenti lo ascoltavano, le antiche storie. Sospirava narrando quanto a quel tempo i lupi fossero numerosi e abitassero montagne che erano a poche centinaia di chilometri. Ricordava le vicende del fiero popolo dei lupi così indomito che, nonostante la spietata caccia degli uomini, si era guadagnato fama e onore, tanto che era stato dato a molti condottieri italiani che avevano lottato per la libertà proprio il soprannome di “Lupo”. Ricordava le storiche tracce lasciate dal popolo degli uomini; i lupi, invece, definitivamente sconfitti, avevano abbandonato molti territori e di loro non era più rimasta né memoria né storia. I presenti sospiravano pensando all’ingiusta caccia fatta alla loro razza. Bradir interruppe improvvisamente il racconto. Dopo qualche minuto di sospeso silenzio disse: “E’ ora di ritornare nelle nostre terre, è ora di essere forti!”
I lupi tremarono.
“L’uomo è cambiato – continuò – ha capito che anche noi possiamo essere utili all’ambiente!”
Tra i presenti serpeggiò un ringhio contrariato. Uno urlò: “L’uomo perde i capelli ma non il vizio!” Gli altri annuirono.
“Sono già ritornati in molte montagne linci ed orsi. Sono protetti: lo stesso accadrà anche per noi”, spiegò Bradir.
Gli astanti non si convinsero. Dopo un’interminabile discussione decisero di mandare in avanscoperta un giovane lupo. Tirarono a sorte: doveva andare Ildelgardo. Nonostante questo nome importante il lupo era dal branco soprannominato “il codardo”.
In realtà il nostro giovane lupo non era certo un vigliacco, era solo un sognatore e aveva un animo sensibile. Non sfidava mai in combattimento altri lupi, non amava il potere e cacciava solo quando era sfinito dalla fame (quando aveva appunto una fame da lupo!). Amava la natura, sentiva il profumo dei fiori e si divertiva ad osservare farfalle e libellule.
Quando fu estratto a sorte il suo nome tutti risero, ma il nostro lupo non si sottrasse certo al suo incarico e si mise in viaggio. Salutò con un lungo ululato gli amici e poi in silenzio salutò la foresta in cui era cresciuto, gli anfratti in cui si nascondeva, il vecchio tronco cavo che era stata la sua tana da cucciolo e lento iniziò la sua marcia nella neve diretto verso la terra che secoli prima era stata dei suoi antenati. Giunto al confine tra la Slovenia e l’Italia si fermò ad osservare una lince bianca che attraversava di corsa una radura innevata. Si udì uno sparo: si acquattò veloce.
Sulla neve si formò una chiazza rossa. “Stupido ha rovinato la pelliccia!”, sentenziò uno dei due uomini.
“Non temere ne ricaveremo ugualmente qualcosa!” rispose l’altro.
“Eccoli! ecco i cacciatori di frodo…Fermi!” Gridarono due uomini in divisa che erano accorsi dal bosco udendo gli spari.
I due cacciatori fuggirono. La piccola lince era morta.“Una delle tanti morti inutili”, pensò tra sé il lupo, almeno gli fosse rimasta la carne da mangiare!
Più cauto proseguì il suo cammino facendo scomparire le sue tracce sulla neve usando la coda come una scopa. “Devo stare attento” pensava “molto attento!”, meno male che madre natura lo aveva dotato di un mantello mimetico. Superò il passo. Attraversò il confine tra i due stati. Un confine messo dagli uomini, perchè gli animali, le piante, i fiori non hanno confini. Giunse così all’inizio della primavera nella terra dei suoi avi. Era una terra ricca di grandi parchi e di laghi dalle acque limpide dove quasi a gara si rispecchiavano maestose le montagne di quella parte dell’arco alpino, cime imponenti che superavano i duemila metri.. Camminava cercando un rifugio. Dall’alto guardava i paesi: erano piccoli, quasi da fiaba, di notte Ildelgardo li scorgeva lontani, aggrappati ai monti, quasi paesi di fondali di presepe. Voleva raggiungere l’Abruzzo dove sapeva si trovavano i suoi simili, ma era ancora molto lontano. Il lupo seduto all’ombra delle rocce guardava la luna. Il suo istinto gli diceva di ululare, ma la ragione lo tratteneva. Gli uomini gli avrebbero dato la caccia. Da millenni gli uomini erano avversi ai lupi. Eppure ora erano più pericolosi i cani che abbandonati dai padroni si inselvatichivano e creavano branchi incontrollabili. A volte i loro danni erano attribuiti ai lupi; guardando il cielo notturno pensava: “Luna che sempre vai,/luna dimmi che fai…tu pellegrina in fuga nella sera /sai del mio popolo la storia vera/ i lupi sono stati quasi sterminati / a tal punto furono cacciati! / Vorrei solo che di questo errore / si ricredessero gli uomini nel cuore / vorrei tornare libero a casa mia / superando l’umana follia / che da sempre vuole punire/ chi il suo volere non vuole subire. / Il lupo alla natura noia non dà/ ha quindi diritto alla libertà / solinga mia luna che vai…”
Purtroppo senza che Ildelgardo se ne accorgesse questa composizione poetica gli uscì dalla bocca sotto forma di un lungo ululato. Tutti lo sentirono e iniziarono a preoccuparsi per il ritorno del lupo. Furono avvisati pastori, mandriani, le guardie forestali; si sorrisero tra loro i cacciatori. Il lupo, rendendosi conto dell’errore, pensò di essere più sicuro vicino agli uomini: lì non l’avrebbero mai cercato…aveva anche notato che usavano cani da slitta che gli erano molto simili (naturalmente da lontano) e forse, scorgendolo, l’avrebbero confuso con uno di questi…Il cane…si era adattato così bene all’uomo…eppure sembrava felice anche quando era usato! Forse gli uomini avevano qualità che i lupi non avevano ancora notato, pensava Ildelgardo camminando. Era ormai estate e il lupo correva attraverso i boschi di faggio e le conifere. Aveva scorto tracce, sentito odori e visto camosci, caprioli, marmotte, stambecchi, ma non li aveva cacciati…si era nutrito solo di piccoli roditori, proprio perchè nessuno si accorgesse della sua presenza…poi quell’ululato l’aveva tradito! Dove andare? Camminava di notte all’ombra di seggiovie ormai ferme dopo il metodico andare del giorno…immaginava d’inverno gli sciatori andare per quelle piste…nella sua fantasia sentiva gli urli alla sua vista…Aveva fame…Girovagò a lungo nei boschi… giungendo infine in un piccolo paese di montagna. Sentì uscire da una villetta un delizioso profumo di arrosto. Si leccò i baffi e decise di aspettare gli avanzi nei pressi del cassonetto…Dopo un’ora uscirono dalla casa due bambini che lo videro. Pensarono che fosse uno dei soliti cani abbandonati da un turista di passaggio. Provarono ad avvicinarlo; il lupo si teneva sempre a rispettosa distanza. I bambini allora gli portarono un’ottima zuppa e acqua da bere, poi rientrarono in casa. Il lupo a notte fonda si avvicinò alla ciotola, mangiò e bevve. Da allora ogni sera Gina, una ragazzina di dodici anni e il piccolo Toni di cinque gli portavano del cibo che il lupo di notte mangiava. Grato si affezionò ai bimbi e spesso non visto li osservava mentre giocavano in giardino o andavano in giro per il paese assieme ai genitori. A volte loro lo scorgevano tra i cespugli e provavano a chiamarlo: “Bobi, vieni qui, non aver paura!”
“Attenti può essere selvatico!” li ammoniva la mamma.“No, sappiamo che è buono…”
Nel frattempo l’autunno era improvvisamente giunto con i suoi colori di fuoco, le prime brezze fredde e qualche temporale… Un sabato la mamma andò dalla nonna e il babbo dopo la scuola portò i bimbi nei boschi per raccogliere i funghi. Aveva in mano un cestino pieno di leccornie per la merenda.I bimbi erano felici. Il lupo li seguì, pregustando qualche bocconcino dal cestino. Si incamminarono. Gina e Toni giocando correvano avanti e indietro ridendo, ma purtroppo la ragazzina inciampò in un tronco, scivolò e prese una brutta storta. La bambina piangeva per il male, il padre allora la prese in braccio e cercò la via più rapida per ritornare in paese. Imboccò un sentiero che scendeva verso valle con una forte pendenza. Il peso della bimba gli fece, a metà strada, perdere l’equilibrio, caddero e rotolarono per alcuni metri. La testa del padre sbatté contro una pietra. L’uomo rimase immobile; un tenue filo di sangue gli attraversava la fronte. Toni e Gina lo chiamarono tante volte, provarono a scuoterlo, ma tutto fu inutile, non si riprendeva. Le ombre della sera cominciavano ad avvolgere il bosco come in un abbraccio. Nel cielo non c’erano stelle; iniziarono a cadere le prime gocce di pioggia. “Vai a chiamare aiuto!” disse Gina al fratello.
“Non posso, ho paura é buio”, rispose Toni scoppiando a piangere.
Ildelgardo capì che non ci sarebbe più stata nessuna colazione sull’erba e si allontanò in silenzio sospirando. Il vento che lo seguiva continuava a portargli il pianto dei due bambini. Ricordò tutte le loro gentilezze, le loro premure. Disse a se stesso che era un lupo e che i lupi sono freddi e crudeli (almeno così pensano gli uomini!). Camminò ancora un poco poi si fermò, si rimproverò per la sua debolezza ma tornò indietro. I bambini lo videro fermo sul limitare del bosco mentre li osservava. “Bobi, sei arrivato, che bello… vai tu a chiamare qualcuno…” gli disse Toni.
Ma per la prima volta Toni e Gina videro da vicino i vigili, freddi occhi gialli dell’animale. Sembravano brillare nel buio prendendo bagliori di fuoco.“E’ un lupo! Un lupo VERO!”, balbettò il bambino impaurito.“Ci mangerà!”, continuò.
“Non essere sciocco… se avesse voluto ci avrebbe già mangiato…” gli rispose Gina non molto convinta, allungando il cestino a Ildelgardo.
“Nessuno può avere un lupo per amico, per questo non ci aiuta”, sospirò Toni, “papà morirà e sarà colpa mia…vado a chiamare aiuto!”
Ma in quel momento il lupo si sedette vicino all’uomo disteso per terra, lo annusò, sollevato capì che non era morto. Si guardò intorno: era notte fonda e pioveva, drizzò le orecchie udiva solo la pioggia cadere,.. Si sedette sulle zampe e cominciò a ululare forte e chiaro, pensando che gli uomini del paese sarebbero accorsi per abbatterlo e in questo modo lui avrebbe salvato la famigliola.
Il suo ululato attraversò il bosco e si diffuse nelle valli. L’urlo del lupo percorreva sentieri nascosti portato dal vento. L’eco lo trasportava di monte in monte…. Continuò ad ululare finché non sentì le voci e i passi rapidi dei cacciatori che stavano giungendo dandosi ordini. Solo quando scorse gli uomini tacque tremando, indeciso se fuggire o meno. Non si era accorto che Toni lo stava accarezzando. Gli uomini aiutarono il padre a riprendersi, poi severi guardarono il bambino e il lupo, dissero a Toni di spostarsi, ma lui abbracciò con forza Ildelgardo. “Ci ha salvati”, disse Gina, “lasciatelo stare.” Guardò il cestino del pic-nic ancora pieno, guardò gli uomini e le loro torce dalla luce abbagliante. “Anche i lupi sono utili in natura, me l’hanno insegnato a scuola”
“Se hai un lupo per amico tieni il cane sotto il mantello!” sentenziò un vecchio
“Sotto il mantello c’è il cuore, e nel cuore l’amicizia…Non è forse così?”, disse il padre di Gina. “Lasciatelo andare”. Gli uomini deposero i fucili, il lupo salutò Toni leccandogli la mano.
“Grazie, amico “, disse il bambino,” scusa se ti avevo mal giudicato…”
Il lupo scomparve nel fitto del bosco. Tornava dal suo branco per raccontare ciò che aveva visto. Sì, gli uomini erano cambiati: il rapporto dell’uomo con la natura sembrava ora essere diverso, ora erano presenti rispetto e tutela. L’aveva notato durante il suo cammino; aveva capito che gli esseri umani stavano facendo un lento e costante percorso d’amore. Non era sicuro che gli uomini fossero veramente pronti per il ritorno del lupo, ma i cuccioli d’uomo erano pronti: bisognava aspettare poco tempo, solo che quei cuccioli crescessero…che belli quei cuccioli!

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